Quella di coltivare il Fico è una tradizione molto antica poiché non richiede particolari cure, conoscenze tecniche o impiego di mezzi tecnologicamente sofisticati. È una pianta resistente alle malattie e agli attacchi parassitari che porterebbero alla distruzione e alla perdita del raccolto e al tempo stesso è capace di offrire frutti in abbondanza e per un lungo periodo.
COLTIVARE IL FICO: LA DIFFERENZA TRA FIORONI E FICHI
Il Fico (Ficus carica) della famiglia delle Moracee è un albero non molto alto: arriva intorno ai 7-8 metri di altezza e forma una chioma molto espansa, avendo spazio e luce, con i rami contorti ricchi di lattice.
Le foglie sono formate da 3-5 lobi, i fiori sono piccoli e racchiusi dentro un ricettacolo carnoso della forma simile a una pera cava e per vederli bisogna aprire il ricettacolo ancora giovane e verde. I fiori, unisessuali, vengono impollinati mediante l'intervento di un piccolo imenottero, la Blastophaga psenes, che compie il suo ciclo in stretta relazione con l'evoluzione delle diverse fioriture.
Il ricettacolo, maturando, diventa molle e sugoso e costituisce il Fico, mentre i veri frutti sono richiusi nel ricettacolo e sono dei piccoli acheni immersi in una polpa formata dalla trasformazione dei tessuti del fiore. Il frutto (falso frutto) può formarsi attraverso la fecondazione oppure per partenocarpia (senza fecondazione), diventando in entrambi i casi commestibile.
Avremo due epoche di fruttificazione: nella tarda primavera i Fichi fioroni, che si formano su un ramo dell'anno precedente e nella tarda estate (agosto-settembre) i Fichi propriamente detti, prodotti dalle gemme dell'annata.
Le varietà si suddividono principalmente in due gruppi per il colore della buccia, che può essere scura tendente al violaceo oppure chiara tendente al giallo.
Un'ulteriore classificazione è basata sul numero delle fruttificazioni, che possono essere due all'anno, come già accennato, oppure solamente una, quella di fine estate.
Le nuove piante si possono moltiplicare attraverso i polloni radicali che vengono estirpati da una pianta madre di cui si conoscono le caratteristiche. In questo caso l’innesto non è necessario in quanto il pollone ha lo stesso patrimonio genetico della pianta madre.
Al contrario l'innesto si rende necessario per le piante nate da seme, in quanto i loro frutti possono non corrispondere alla qualità desiderata. In questo caso la marza da utilizzare per l’innesto dovrà essere prelevata da una pianta di cui conosciamo esattamente le caratteristiche varietali.